Scrive Andrea Bosco (Corriere della sera, 23 luglio) che l'ultima suggestione della Giunta Pisapia è quella di eliminare le seconde auto e ritiene che questa sia un'idea dirigista. Occorrerebbe sano realismo, visto che la principale industria italiana produce automobili.
Senza polemica (ipse dixit), egli auspica meno ideologia e più verità. Appunto. E' quello che ci attendiamo anche dagli autorevoli commentatori che informano i cittadini.
E allora cominciamo col ricordare che il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile è uno strumento previsto dalle normative comunitarie, che si tratta di una realtà applicata in molte città europee e che è stata una leva di successo per favorire un cambiamento virtuoso delle abitudini di mobilità, che deve innanzitutto essere pensato e voluto (non è "spessa ideologia").
Semmai, la vera colpa del nostro Comune è quella di avere indugiato troppo nell'avviarne il processo.
Questo cambiamento non avviene sbandierando statistiche relative a metropoli imparagonabili a Milano per urbanistica e servizi.
Cosa significa infatti questa frase? Ogni città è differente da tutte le altre, ogni comunità è differente e ogni cultura ha le sue peculiarità!
Ma se si afferma, con la verità dei numeri, che tutte (tutte) le città europee, piccole medie e grandi, da Londra a Parigi, da Amsterdam a Barcellona a Copenhagen, da Berlino a Vienna, e via elencando, hanno un tasso di motorizzazione (auto ogni 100 abitanti) inferiore da due a tre volte quello di Milano, questo vorrà dire qualcosa, o no? E' un dato davanti al quale rassegnarsi e prendere atto, o invece si può cercare di agire per cambiare? Senza dimenticare, peraltro, che molte di quelle città (Amsterdam e Copenhagen, ad esempio) hanno anche conosciuto gli effetti della motorizzazione di massa, ed hanno saputo uscirne molti decenni or sono.
E se si afferma che le auto circolano con il solo conducente a bordo (tasso medio di occupazione dell'abitacolo pari a 1,2) si commette una illecita intrusione nella privacy dei poveri automobilisti, contribuenti tartassati?
Le auto circolanti e quelle ferme (queste ultime lo sono per la maggior parte del tempo, magari anche in sosta sui marciapiedi) rappresentano, fra le altre cose, una forma abbastanza evidente di privatizzazione dello spazio pubblico.
Dato che lo spazio è un bene prezioso, in quanto finito e non riproducibile, si può pensare di adottare degli strumenti di regolazione di una qualche efficacia che consentano di restituire vivibilità alle città, o dobbiamo limitarci a subire le pulsioni istintuali dei molti egoismi e le manie liberiste del laissez faire?
Eugenio Galli
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