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Al castello di Torrechiara (17/06/2007)
Gita organizzata da Vinicio Bevilacqua e Alessandro Martelli. Foto di Carlo Porta, Paolo Pacca e Vinicio Bevilacqua. Racconto di Paolo Pacca.
Ô saisons, ô châteaux! Fortemente tentato, per questa gita, di imitare - umilmente, si capisce, molto umilmente - Achille Campanile. Il quale, inviato al giro d'Italia, riuscì a mandare al suo giornale una serie di corrispondenze dove parlava di tutto fuorché di ciclisti, biciclette, volate, pendenze, tappe, classifiche, combines, chilometri, cronometri, medie orarie e quant'altro si converrebbe; preferendo piuttosto divagare in escursioni paradossali e surreali. Il risultato è un piccolo capolavoro di umorismo freddo, anzi freddissimo, "Battista al Giro d'Italia" che, se mai non lo conosceste, vi suggerisco di leggere: ne vale davvero la pena perché c'è poco da ridere, ma molto da divertirsi. E allora, anch'io, contaminato da insano e megalomane spirito imitativo, eviterò accuratamente di parlare di cicloturismo, e dei suoi annessi e dei suoi connessi. Tacerò accuratamente di maligne forature di gomme e di capitomboli, di affannose rincorse nel patetico tentativo di tenere il ritmo del capogita e del maledetto vento contrario che, anche sui più lievi pendii, fa fare una fatica bestiale. Dunque, divago. I castelli, lo si sa e, spesso lo si dice come verità scientificamente provata, quando ne hai visto uno li hai visti tutti. Affermazione che si può peraltro estendere alle cattedrali gotiche, alle pagode cinesi, ai trulli di Alberobello, ai monumenti ai caduti, alle isole greche, alle megalopoli dell'America latina e, ahimé, ai servizi igienici dei treni italiani. Dopo tutto ogni castello, dalla valle della Loira alla Transilvania, altro non è che una monotona sequela di torrioni e torrette, sale e saloni, ponti e ponticelli, stanzette e stanzoni, cortili e porticati, scuderie e foresterie, stemmi e scritte latine tanto indecifrabili quanto supponenti. Ma non è proprio così. Ci sono i dettagli a far la differenza. E a Torrechiara i dettagli contano, forse sono l'unica cosa su cui vale la pena di soffermarsi, al di là della scontata imponenza del castello, della sua storia erotico-militare, dei suoi sfarzi provincialotti. I dettagli, appunto: gli occhietti aguzzi, avidi, crudeli, fintamente adoranti del padrone di casa; i ritratti misticheggianti e paganeggianti della donna amata, una specie di Anna Karenina prerinascimentale, riscattata dalla colpa nei lussi e nel lieto fine cenerentolesco; le decorazioni onirico-classicheggianti dove si vede molto bene, ancor più di come si viveva in quell'epoca come in quell'epoca si fantasticava, si sognava, si gratificava la propria vocazione all'esser lieti...chè giovinezza è breve e si fugge tuttavia... E poi i colori dei dipinti: ariosi, luminosi, trasparenti come se anche qui a Torrechiara - un periferico vassallato politico-culturale dei Visconti - si volesse esaltare una propria conquistata modernità: la liberazione tutta fisica e tutta terrena e tutta laica dalla cappa penitenziale di un medioevo di chierici asfissianti. Basta così. Il tempo è scaduto. Ringrazio Stefano che di questo castello ci ha raccontato tante cose, della sua storia e della sua architettura. E' ora di tornare a pedalare. Mi sono bruciato anche i minuti destinati alla consumazione dei miei deprimenti panini vegetariani. Fa niente. Ne è valsa la pena. Ultima divagazione. Quando ne hai visto uno li hai visti tutti... Non è vero. E' vero il contrario. Quando hai visto tutto, non hai visto proprio un bel niente.
Paolo Pacca
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