posted by Presidente on 11/08/2009
Viviamo in un Paese nel quale, salvo limitatissime eccezioni, non esiste una politica della mobilità ciclistica. Nel quale gli impegni a favore della mobilità sostenibile o non ci sono, o restano sulla carta. Un Paese che sembra ragionare solo in chiave “auto-centrica” relegando la promozione della mobilità dolce e leggera (come pure del trasporto collettivo) alle dichiarazioni di facciata, e talvolta neppure a quelle.
Per rendersi conto delle differenze non occorre andare lontano: basta attraversare uno dei confini nazionali, verso la Francia, la Svizzera, l’Austria o la Germania. Senza scomodarsi ad arrivare sino al Nord Europa. A quel punto svaniscono come bolle di sapone le vane parole che ci vengono servite da anni. Cadono gli equivoci, gli inganni, le maschere contro la forza ostinata dei fatti. Basta uno sguardo per capire, anche senza voler approfondire.
E’ dunque davvero difficile, oggi, riuscire a far passare il provvedimento che sanziona i ciclisti equiparandoli agli automobilisti, ai fini della sanzione accessoria della decurtazione dei punti della patente, come un intervento serio, motivato, non demagogico, utile alla sicurezza stradale, giusto, ragionevole.
A meno che, fatta piazza pulita di ogni analisi razionale della realtà quotidianamente da ciascuno vissuta sulle strade italiane, tralasciata ogni saggia distinzione circa ruoli e responsabilità dei diversi soggetti che agiscono sulla platea stradale, facendo di ogni erba un fascio, non si vogliano d’un tratto cancellare anche i numeri che periodicamente ci vengono scodellati dai media, oltre che dagli istituti statistici. Cifre di una guerra sulle strade, che viene addomesticata con parole più o meno tranquillizzanti, espressione di fatalità ineluttabili: “incidenti”, in realtà spesso omicidi dolosi derubricati a colposi. Cinquemila morti l’anno sulle strade, anche urbane, più il carico di feriti, di invalidi, i costi individuali, familiari, sociali. Migliaia di caduti fra i quali vi sono innanzitutto pedoni e ciclisti.
Come porre un freno? Spostando l’attenzione su altri obiettivi.
Eccoli, allora, i nuovi pirati della strada: vanno in bicicletta. Non sfrecciano a 90 all’ora sulle strade urbane, ma sono assai più temibili, silenziosi, insidiosi, feroci. Ecco perché vanno sanzionati in modo esemplare… Comprensibile che faccia notizia, al pari dell’uomo che morde il cane. Ci sarà di che sbizzarrirsi, in queste prime settimane di applicazione delle nuove norme del Codice della strada in vigore da qualche giorno (art. 219 bis CdS).
Dato che, come avevamo già chiarito all’indomani dell’approvazione della legge, non c’è da parte nostra alcuna rivendicazione di impunità o di immunità per una categoria di utenti delle strade, ma solo una esigenza di maggiore ponderatezza nei provvedimenti legislativi, non si può sfuggire a un nodo di sostanza: ci si rende conto che il Codice della strada prevedeva già obblighi e sanzioni anche per i ciclisti, che a qualcuno toccava farle rispettare, e che non erano per questo affatto necessarie nuove norme?
O qualcuno si illude che le nuove norme si applichino da sé (coltivando l’idea che il rispetto delle norme discenda in primo luogo dalla severità della sanzione), oppure è evidente che – assai prima di intervenire sui carichi sanzionatori con equiparazioni che sembrano più il frutto di visioni isteriche – vi sono a monte almeno due temi fondamentali, entrambi poco “sentiti” nel nostro Paese: quello della educazione stradale e quello dei controlli.
La bicicletta continua ad essere vista dal legislatore nazionale come un “veicolo ibrido”, secondo le convenienze: sugli incroci si impone spesso al ciclista di trasformarsi in “pedone”, altre volte si impone di seguire il traffico veicolare a motore, in altri casi lo si induce ad inventarsi dei percorsi che non esistono, talvolta si pretende che utilizzi percorsi ciclabili oggettivamente inadatti e pericolosi, talaltra lo si costringe di fatto a rifugiarsi sui marciapiedi per proteggere la propria incolumità… questo è “se vi pare” il ciclista urbano, in Italia.
Sarebbe utile che legge e buon senso procedessero insieme, sempre. In questo caso, pare proprio che abbiano deciso di seguire strade diverse.
Eugenio Galli (presidente Fiab CICLOBBY Milano)