Città e futuro. Proposte per una metropoli capace di integrare e di ritrovare la sua anima
«A Milano serve una svolta
Creiamo l’Expo dei cittadini»
L’economista Vitale: il cardinale ha ragione, la città diventi esempio per il Paese
di MARCO VITALE
Spesso mi capita di parlare di Milano con amici e conoscenti di città del profondo Sud. Mi parlano delle tristezze, della violenza, della corruzione, della mancanza di professionalità, della iperpoliticizzazione dominanti nelle loro città. Poi aggiungono: certo che per voi a Milano è diverso ed è più facile vivere. Quando cerco di spiegare loro che da noi a Milano non è più molto diverso e che non è per niente facile vivere, colgo nei loro occhi un grande smarrimento, una enorme tristezza.
Sembra che vogliano dire: ma se anche Milano viene meno come punto di riferimento, come testimonianza del buon vivere civile, che cosa ci resta? Dove riporre i nostri sogni, dove radicare la nostra speranza? Questo episodio mi è capitato tante volte, fino al punto che che ho imparato a non replicare più e a dire «sì, certo, a Milano è diverso», per lasciare indisturbato il loro sogno e magari sognare con loro una Milano che non c’è più. Ma è sparita o si è solo inabissata come un fiume carsico? A questo mi fanno pensare le importanti parole del cardinale Tettamanzi nell’intervista al Corriere e le sue domande evocano quella che anche Bonvesin de la Riva si pose nel 1288: «Ma se i milanesi possiedono veramente tutte le doti che tu esalti, come mai la loro virtù non vale a reprimere tante malvagità? Rispondo: perché spesso i malvagi hanno forze e poteri; perché spesso i figli delle tenebre nelle loro malvagie imprese sono più attivi e scaltri che non i figli della luce nelle loro opere buone... ».
Il bisogno di onestà
Il Cardinale ha lanciato un monito fondamentale: Milano ha delle responsabilità di fronte al Paese; dunque noi tutti abbiamo delle responsabilità verso la città, il territorio e il Paese. Ma da dove incominciare? «Essere stati è condizione dell’essere » dice Braudel. E allora incominciamo pure dalla storia di Milano, perché chi conosce la sua storia e, attraverso essa, i suoi caratteri più profondi, non può non amarla. Perché Milano, e noi con essa, ha bisogno soprattutto di amore. C’è però una domanda centrale alla quale si deve dare una risposta: che cosa ostacola la riemersione della forza trainante di Milano? La città conserva potenti fasci di luce: come può non riprendere il ruolo che le compete una città in grado di attrarre tante intelligenze in ogni campo della società?
Bisogna cambiare il terreno di gioco. Bisogna uscire dal recinto che ferisce l’onestà e la professionalità. Bisogna far emergere le qualità migliori e lavorare per conservarle. E poi si deve essere vigili, per proteggerle dai «figli delle tenebre» indicati da Bonvesin. Senza confrontarci sul loro terreno di gioco, perché qui gli spiriti delle tenebre sono invincibili.
Le cose da fare
E allora, davanti al crollo di tante aspettative degli ultimi anni, cominciamo con un primo sommario elenco delle cose da fare. Milano ha un disperato bisogno di discutere della gestione del suo territorio metropolitano in una prospettiva strategica, in modo competente, onesto e non inquinato da interessi specifici. Avviamo un Forum cittadino, dove la città possa dibattere ciò, con onestà e competenza.
Milano chiede che si parli seriamente dei contenuti dell’Expo 2015: è piena di altissime competenze in materia. Ma finora si è parlato solo di stipendi, di metri quadrati degli uffici, di costosissime consulenze. E allora promuoviamo un gruppo di lavoro, articolato in varie sezioni, che dia voce alle migliori competenze cittadine.
La città ha un enorme bisogno di un consiglio comunale dove sopravviva quel poco che resta della misera vita democratica cittadina. Ma per i «figli delle tenebre» il Consiglio comunale è un luogo ormai privo di qualsiasi sostanza e interesse, un luogo da irridere se non da offendere. E allora organizziamo una Consulta cittadina dove si dibattano pubblicamente i temi che dovrebbero essere oggetto di dibattito nel Consiglio comunale; insomma un Consiglio comunale pro-forma.
Una nuova rappresentanza
Bisogna dare voce a una rappresentanza nuova, a chi si sente escluso dalle trasformazioni della città. Milano invecchia, ma i giovani ci sono. Ci sono nel potente sistema universitario. E ci sono nei licei. Sono un capitale sociale importante: è giusto mettere i giovani al centro di un progetto che riguarda il futuro. Ed allora proponiamo alle autorità scolastiche di promuovere incontri nei licei per dibattere con i giovani quei temi della contemporaneità, della vita civica e di Milano, che i professori da soli non riescono a svolgere. Sarebbe un grande aiuto per la scuola e per noi. Moltiplichiamo gli incontri con i testimoni di coraggio, di onestà e professionalità, ed il clima cittadino nei rapporti tra scuola e città, tra anziani e giovani, cambierà in meglio, rapidamente.
C’è una riflessione, poi, che va fatta: troppo spesso gli immigrati non rispettano la città. Ma chi insegna loro a rispettarla? Chi spiega loro un po’ di storia e di struttura della città? Si può rispettare ciò che non si conosce? Milano ha sempre metabolizzato le diversità, trasformandole in un punto di forza. Ma era una città sicura di sé: deve tornare ad esserlo.
Il rischio del razzismo
È necessaria un’azione di spietato, personalizzato monitoraggio sulle cose che non vanno, sui problemi concreti che non si risolvono mai. Anche questa è politica, perché quando i problemi non si risolvono mai, con l’uso competente della scienza e della tecnica, l’ambiente cittadino si incattivisce, la convivenza diventa più difficile, si diventa ostili l’un l’altro, si diventa razzisti.
Milano risente da troppo tempo di un clima di sfiducia. Questo ci fa soffrire. Ma questa sofferenza oggi può diventare la nostra speranza. E un grande giornale può svolgere un ruolo importante, rispondendo così all’appello del Cardinale. Milano deve ritrovare un nuovo civismo, rafforzare quello che già esiste e darsi obiettivi ambiziosi. Tutto ciò va inquadrato in una cornice concettuale solida: a noi non manca. Basta ricollegarci ai nostri veri grandi economisti, che non sono quelli che hanno studiato ad Harvard, ma quelli che si chiamano Pietro Verri, Cesare Beccaria, Pompeo Neri, Giandomenico Romagnosi, Carlo Cattaneo, quelli che hanno accompagnato Milano nel suo decollo e nel suo sviluppo, che hanno posto le basi della Milano contemporanea. Verri analizza e commenta la grande prosperità e forza di Milano prima del XVI secolo; poi analizza e commenta il grave declino che Milano subì nei 172 anni di dominazione spagnola. Nell’analizzare le ragioni dell’antica prosperità, Verri indica, accanto a ragioni legate alla posizione strategica per i grandi commerci, la certezza del diritto («la sicurezza dei beni fondata su buone e chiare leggi») e il rispetto della città verso le attività imprenditoriali (che allora si chiamavano: i commerci). E poi aggiunge due ragioni che rinviene negli antichi statuti di Milano del 1480.
La prima è il divieto alle corporazioni di ergersi a corpi chiusi e separati, avvantaggiati o protetti da leggi e regolamenti. Tutto ciò per difendere la professionalità, il saper fare, rispetto all’essere affiliati a qualche setta; dell’essere in sostanza cittadini individualmente, e non per appartenenza a qualche partito o corporazione o cosca. La seconda, in una approssimata e semplificata traduzione, è la difesa della libertà di intraprendere «ogni mestiere, arte, professione o qualunque altra attività che non sia contraria alla legge municipale».
La vera anima della città
Come diverso sarà il periodo successivo del dominio spagnolo, fatto di corporazioni, di chiusure, di autorizzazioni, di divieti, di manomorte e di conseguente declino. Solo quando «l’umile» Milano dell’illuminismo avviò la stagione delle riforme, si tornò a vedere l’anima vera della città. La Milano moderna di Cattaneo, la Milano contemporanea o, meglio, i suoi caratteri di città aperta, attiva, tollerante, capace di assorbire e metabolizzare persone e contributi provenienti da ogni dove, nasce lì, da quella grande stagione.
Dove poggiano le radici più profonde di questa caratteristica di fondo che attraversa i secoli e scompare nei periodi bui e di oscurantismo, che certamente non mancano, per riemergere poi come un fiume carsico, è difficile dire. Per essere città aperta non è sufficiente giacere distesa nella grande pianura e ricevere chiunque arriva e da qualunque parte arrivi. È necessario accogliere chi arriva e, a poco a poco, integrarlo. Per far questo sono necessari un modello, una cultura, una identità, qualcosa da dire e la capacità di dare, ma anche di prendere. Milano in questo è sempre stata grande: da Leonardo da Vinci a Verdi, da Toscanini a Torelli Viollier, da Quasimodo a Montanelli, da Ambrogio a Montini. Nessuno di questi grandi uomini che hanno fatto grande Milano, era nato qui. Milano è diventata per loro (e per migliaia di altri) una seconda patria. L’orgoglio di appartenenza non è una nostalgia da reduci: serve a riconoscersi in un luogo che non è solo un accumulo di mattoni.
Da qui dobbiamo ricominciare, per trasformare l’allarme Milano nella speranza Milano.