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Castello: regole dimenticate?
posted by Presidente on 12/11/2008

Sulle limitazioni alla circolazione delle bici per l'attraversamento del Castello Sforzesco segnaliamo i seguenti interventi apparsi sul Corriere della sera del 7 e 8 novembre e un commento finale del presidente di Ciclobby, Eugenio Galli.
 
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BICI AL CASTELLO Regole dimenticate (lettere alla redazione 8 novembre)
Devo constatare, ancora una volta, la «novità» di regole che esistono da tempo. Infatti sui cancelli di ingresso al Castello esiste da sempre una targa metallica che riporta gli orari di apertura e sotto dei segnali di divieto: «cani al guinzaglio» e «biciclette a mano». L' unico problema sono le dimensioni, più o meno quattro centimetri di diametro ciascuno.
Adesso sono stati messi dei cartelli ben visibili, dopo vari problemi tra ciclisti e pedoni. Il cortile del Castello è ovviamente una zona pedonale, sicuramente più frequentato da pedoni che da ciclisti. Non ci dovrebbe essere bisogno di cartelli, pretendere di avere sempre ragione, perché si usa la bicicletta mi sembra arrogante. Piuttosto, tempo fa alle mie rimostranze a una pattuglia di vigili urbani di passaggio dopo aver evitato di misura uno scontro con un ciclista nel cortile (pedonale) del Castello mi fu risposto che lo spazio non è di loro competenza. Questa spetta ai custodi e i vigili possono intervenire solo su loro richiesta.
Maurilio Tamaio
 
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Il Castello Sforzesco è zona pedonale, come altre ve ne sono in città.
 
A nessuno sfugge che vi siano anche molti ciclisti imprudenti e maleducati.
 
Ma le persone incivili e arroganti sono trasversali a tutte le categorie: si tratta di intervenire su educazione, rieducazione, controllo e sanzione. Rinunciare a questo compito, limitandosi alla imposizione di meri divieti e alla esposizione di cartelli, è sicuramente più facile ma di gran lunga meno efficace sul piano dell’azione civica.
 
Faccio presente che l’obbligo di “condurre il veicolo a mano” quando, per le condizioni della circolazione, sia di intralcio o pericolo per i pedoni, è già previsto in via generale dal Codice della strada (art. 182): perché dunque non far applicare le regole che già esistono?
Perché non mandare specifici messaggi di sensibilizzazione? Perché non pensare alle soluzioni di convivenza pacifica sin dalla fase progettuale dei recenti interventi che hanno interessato il Castello? Nessuna giustificazione per arroganti e maleducati, ma possibile che, quando si parla di mobilità ciclistica, si cerchi la soluzione innanzitutto nei divieti?
 
Eugenio Galli (presidente Fiab CICLOBBY onlus)
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