De profundis per piazzale Loreto
Pubblichiamo di seguito un'analisi dell'arch. Fabio Lopez sul progetto di rinnovamento di Piazzale Loreto approvato dalla giunta comunale di Milano.
È possibile vedere i plastici del progetto presso l'hub LOC 2026, lo spazio pubblico di ascolto e informazione su LOC - Loreto Open Community, il progetto di trasformazione urbana di piazzale Loreto, via Porpora 10 - Milano.
Piazzale Loreto è un simbolo nella memoria di ciascuno di noi: la Resistenza, il martirio, la Liberazione. La piazza di oggi non ha nulla a che vedere col teatro di quelle vicende che segnarono gli ultimi mesi del conflitto, la fine del fascismo. Il benzinaio all'angolo fra via Doria e corso Buenos Aires, il luogo dove furono giustiziati i partigiani e dove, dopo il 25 aprile del '45, venne appesi i corpi di Benito Mussolini, della Petacci e degli altri gerarchi, non c'è più da decenni, sostituito da palazzi anonimi del dopoguerra. Il centro della piazza è ridotto a una caotica intersezione di corsie che s'incastrano una nell'altra, in un dribbling fra le prese d'aria e le botole superficiali del sottostante metrò: spazio impossibile per i pedoni, ostico per i ciclisti, complicato persino per chi sta al volante: in una sola parola, brutto.
Dunque, ben venga una ristrutturazione, che si chiami Reinventig Cities all'anglofona, o forse meglio nuovo foro, nuova agorà. Cioè spazio aperto alla socialità, e, nel nostro caso, luogo simbolo per l'Italia intera del risorgimento democratico.
Il progetto vincitore del concorso di progettazione, acronimo LOC, è, a nostro parere, completamente fuori tiro. Non siamo i soli a pensarlo, ma anche altri ben più autorevoli commentatori, come la rivista Domus. L'errore di fondo, preoccupante perché irreversibile, è che i progettisti hanno previsto di riempire la piazza, anziché vuotarla, cioè hanno fatto l'operazione opposta a quella che sarebbe stata necessaria. La piazza praticamente sparisce, sostituita da un incrocio di vie, tante vie, nonostante lo sforzo di chiuderne una (via Padova) e di alleggerire il peso di altre; al posto dello spazio aperto vi saranno tre volumi, bassi, commerciali e aperti al pubblico, con gradinate sul tetto e luccichii vari. Guardando i rendering, specchietti per le allodole degli ingenui, non può non colpire l'analogia concettuale con la piazza Gae Aulenti a porta Garibaldi e la Tre Torri di City Life. Con una differenza di fondo, che queste due sono l'epicentro di altrettante trasformazioni di aree privatizzate in aree nuovamente pubbliche (la ex Fiera di Milano e il rilevato delle Varesine che le pubbliche istituzioni avevano venduto alle immobiliari del "real estate" molti anni, decenni, or sono): restituiscono alla città due agorà che prima non c'erano; che piacciano o meno, questione di gusti. Viceversa, qui si fa l'opposto, si occupa, si riempie un demanio, sull'altare del fare impresa. Rimarrà uno spazio pedonale al centro, come un istmo che si protende da via Padova verso Baires, ma sarà rimpicciolito, racchiuso in sé stesso, con spazi che nei pomeriggi dello shopping saranno congestionati, impraticabili, sovraffollati, come è facile prevedere. Nulla a che vedere con i grandi progetti di pedonalizzazione che si vedono in tutte le città d'Europa e del mondo.