Fine ingloriosa di una iniziativa lodevole?
E' dei giorni scorsi la notizia di un sostanziale fallimento della iniziativa di marchiatura antifurto avviata dalla Provincia di Milano in occasione della prima Giornata nazionale della Bicicletta (8 maggio 2011): MiBici Sicura.
Così sintetizzava, lo scorso 8 agosto, il quotidiano la Repubblica: «La Provincia voleva creare un'anagrafe delle due ruote. Mai arrivati i kit tecnici alle forze dell'ordine. I rivenditori: "Il sistema non funziona e soprattutto non lo conosce nessuno"». [link all'articolo]
Sia consentito un commento a caldo.
Questo purtroppo è ciò che succede quando si vuole perseguire un risultato unicamente per spenderlo a fini politici, utilizzandolo come una bandiera, in assenza di una attenzione reale ai contenuti concreti. Senza un coinvolgimento esteso; senza una visione strategica, un'informazione diffusa, una possibilità di controllo trasparente. Rischiando così di far fallire un progetto che riguarda invece un problema molto sentito dai ciclisti: quello del contrasto al furto delle bici.
Lo ripetiamo ancora: non basta la concessione di un patrocinio o un'iniziativa estemporanea per fare delle buone politiche per la mobilità ciclistica. Il tempo delle improvvisazioni dovrebbe essere terminato.
Sin dal primo incontro con l'assessore De Nicola, poco dopo il suo insediamento, affrontando il problema dei furti di biciclette, su cui ci aveva manifestato il desiderio di impegnarsi, gli avevamo esplicitamente raccomandato che qualsiasi azione venisse ben indirizzata alle esigenze dell'utente finale, cioè il ciclista. Cercando di pensare il più possibile in un'ottica di sistema nazionale e sfruttando tutte le sinergie possibili. E avevamo evidenziato che, per fare questo, ritenevamo molto utile un confronto con le best practices a livello internazionale, specie con i Paesi ad elevata cultura della ciclabilità, senza limitarsi a rincorrere una creatività che a noi italiani certamente non manca ma che, nella sua esasperazione, favorisce la moltiplicazione di sistemi diversi, spesso poco efficaci e non in grado di dialogare tra loro. Sistemi miopi in un Paese già privo di una visione precisa sul ruolo della mobilità ciclistica.
Dopo la fase iniziale, non abbiamo più conosciuto le evoluzioni del progetto, sino al momento della sua presentazione pubblica, in occasione della quale avevamo ricevuto un invito istituzionale di cortesia qualche giorno prima.
Peraltro, neppure dopo quel momento abbiamo ottenuto le informazioni più volte richieste per consentirci a nostra volta di effettuare analisi e confronti tra sistemi diversi, di conoscere i dati effettivi di utilizzo e quanto necessario per fare a nostra volta informazione e avanzare eventuali proposte, divulgando anche ai nostri associati e ai cittadini quello che poteva comunque essere un servizio nuovo e positivo, da prendere a modello per successivi sviluppi su scala crescente.
Come è possibile procedere nella erogazione di un servizio di questo tipo se manca il coinvolgimento effettivo dei principali soggetti interessati e quando si prescinde dai contenuti?
I percorsi autoreferenziali finiscono col compromettere anche le intenzioni positive che pure possono esserci, rischiando così di buttare via il bambino insieme all'acqua sporca. Ce ne dispiace molto, perché crediamo davvero nell'utilità di una seria azione di contrasto al furto di bici e perché non è bene che risorse (pubbliche, ma la musica non cambierebbe se la fonte fosse privata) scarse vengano spese in questo modo. Soprattutto in tempi di crisi.
Ora speriamo che ci sia modo di adottare gli opportuni correttivi.
Eugenio Galli (presidente Fiab Ciclobby onlus)